Metafore, figure
retoriche, citazioni in tutte le possibili declinazioni…
Praticamente il mio folle amore!
Adoro la lingua
italiana in tutta la sua infinita pienezza e profondità e la grandezza
delle figure retoriche. Amo
incondizionatamente la “metafora”, che uso
a pioggia sempre e dovunque, perché esprime il ritmo musicale delle parole
in simbiosi con il pensiero rendendo la
prosa pura poesia.
Una metafora ha
il pregio di essere parca nel suo
riflesso grafico su foglio ma estremamente
generosa nel dire, racchiude in poche parole un universo di significanti, significati
ed emozioni infinite, lasciando ad ognuno un
viaggio di approfondimento personalizzato.
In un libro complesso come questo era lo strumento perfetto: quando il pathos si faceva troppo drammatico, quando
il dolore o le emozioni erano laceranti, quando sotto-tacere, sussurrare a fior
di labbra oltre il muro dei ricordi era più facile che dire apertamente, non
c’era miglior soluzione che affidarsi alle figure retoriche.
Fra il detto e il taciuto, tra il racconto filtrato dalla
memoria e l’aver vissuto sulla pelle ogni parola, era necessario creare metalivelli di approfondimento, altri
viaggi paralleli e non necessari che possono essere intrapresi esclusivamente se vi vuole, si può, si sa o di desidera
cogliere la sfida di inoltrare il proprio passo oltre la storia scritta per
approfondire il logos non
svelato, perché sarebbe stato troppo complesso e drammatico da trasporre su
carta.
Gettati lì in modo apparentemente incurante, come indizi casuali
di significato oltre il
significante, sono
invece un tuffo in profondità nell’anima
della protagonista, vissuta e vista attraverso la mia traccia personale di scrivente, segni lasciati a bella posta da Pollicino nel suo cammino, organizzati secondo una precisa mappa di
viaggio.
Ma non tutti disponiamo della bussola, non tutti abbiamo
voglia di viaggiare oltre, né di scostare la cortina oltre la tenda delle
parole…
Ad ognuno la sua lettura.
Barbara
Immagini My Flick Albums (Barbara
Saccagno)
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